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  • Sofia Scordo

“Tra Scilla e Cariddi. Questione di neuromarketing”

Ionia, VI secolo a.C, Omero (o chi per lui) scriveva l’Odissea. Stati Uniti d’America, 2003, il Virginia Tech Carilion Research institut attua il primo esperimento di una nuova disciplina, denominata “neuro-marketing”. Cos’hanno in comune? Leggete fino alla fine e lo capirete!

L’Odissea è quel poema di 33.333 versi che viene letto “a saltoni” tra le scuole medie e il biennio delle superiori, tra la noia degli insegnanti, costretti a ripetere la stessa filastrocca ogni anno, e la disattenzione degli studenti, impegnati in interminabili viaggi mentali per impiegare la lezione. Viaggi… quegli stessi che da un anno a questa parte sono limitati dalla legge ma che, casualmente, caratterizzano anche la trama del nostro punto di partenza: l’Odissea.


Il mito: Scilla e Cariddi

Facciamo un breve riepilogo della trama : in questo cimelio della storia antica si narra il viaggio di ritorno di Ulisse verso casa, dopo dieci anni di combattimento nella guerra di Troia. Passeranno altri dieci anni prima che il nostro eroe riesca, effettivamente, a riabbracciare la sua Penelope, poiché il volere avverso di varie divinità condurrà Ulisse nelle più incredibili peripezie. Una delle mie preferite è il passaggio tra Scilla e Cariddi. Ora, chi sono Scilla e Cariddi? I più attenti certo ricorderanno che, arrivati allo stretto di Messina nel libro XII, Ulisse e i suoi compagni sono costretti ad attraversare il pericoloso passaggio tra le due creature terrificanti: sulla sponda sinistra (Calabria), sopra uno scoglio, si erge un terribile mostro a sei teste, Scilla, mentre sul lato destro (Sicilia) risiede un letale mostro marino, Cariddi. Ulisse intuisce subito che l’unico modo per evitare perdite umane nella sua flotta è riuscire a passare esattamente al centro dello spazio che separa i due. Ancora oggi si usa dire “tra Scilla e Cariddi” quando si intende una posizione problematica e, allo stesso modo, l’avventura di Ulisse nel Mediterraneo diventa metafora della vita stessa. Proprio come nella cultura orientale c’è bisogno di completo equilibrio tra Yin e Yang per consentire l’esistenza, l’uomo deve riuscire a navigare su quella perfetta ed invisibile via tra Scilla e Cariddi.

Equilibrio: ragione o sentimento?

Tuttavia, perché stiamo parlando di mostri marini ed equilibrio? C’è qualcosa di molto interessante in questo mito: la posizione di Scilla, in alto a sinistra, e quella di Cariddi, in basso a destra, probabilmente non sono accidentali ma rappresentano un tentativo, da parte degli antichi, di rappresentare ciò che la scienza oggi è riuscita a provare, ovvero la struttura del nostro cervello. Scilla simboleggia l’emisfero sinistro, dove si forma il pensiero logico, razionale e in cui vengono rielaborate le informazioni indotte dall’esterno che non dipendono dai cinque sensi fondamentali, mentre Cariddi quello destro, dove prosperano le emozioni e l’immaginazione. Il fatto che Ulisse dovesse mantenersi alla stessa distanza da entrambi ci fa capire come, fin dall’antichità, l’uomo debba rifuggire dalla completa emotività e dalla pura razionalità, cercando di aspirare al più perfetto equilibrio tra le due strade. Malgrado questo, però, come scritto da Omero: in caso non ci fosse alternativa, sarebbe meglio propendere verso Scilla, la ragione, in quanto meno pericolosa rispetto a quel turbine marino del sentimento che ingoia qualsiasi cosa, incarnato da Cariddi. Proprio su questa sfaccettatura del mito è nato l’ideale di “snobismo corticale”, termine usato principalmente in psicologia, che prevede l’elogio della corteccia cerebrale, quell’involucro che ricopre il nostro cervello, come luogo in cui “risiede” la ragione e la razionalità. Probabilmente, questa preferenza è nata dal fatto che la corteccia è stata una delle ultime scoperte in campo cerebrale e, come di consueto, l’uomo tende a dare più importanza a ciò che considera più vicino a sé, sia nel tempo che nello spazio. Al contrario, a tutto ciò che si trova nella parte più interna del nostro organo pensante (il tronco encefalico, il sistema limbico, le amigdale, gli ipotalami e i talami) da cui si originano le emozioni sensibili, è stata attribuita una connotazione negativa, legata a quegli istinti primitivi e animaleschi che l’uomo cerca di reprimere. Quindi, come estremizzazione del mito di Scilla e Cariddi, si può affermare che l’uomo abbia fiducia nella ragione e cerchi di schivare il più possibile l’emozione, impaurito dal turbine irrefrenabile che questa può provocare (basti pensare al concetto di razionalità illuminista).


L’emozione del neuromarketing

A partire dagli anni Novanta, tuttavia, si è iniziato a ragionare su quanto, indipendentemente dal proprio desiderio di razionalità, l’uomo sia condizionato da emozioni e sensazioni. Proprio nell’ultimo decennio del ‘900, denominato anche “decennio del cervello” ha cominciato a diffondersi, tra gli uomini di scienza, l’interesse verso tutto ciò dotato del fantomatico suffisso “neuro”, tanto che nel 2003, al Virginia Tech Carilion Research institut, è stato svolto il primo studio riguardante il "neuromarketing". In sintesi, questa nuova disciplina studia le scelte dei consumatori da un punto di vista neuronale ed emotivo, col fine di capire da cosa siano condizionate e come si possa attuare una campagna promozionale più efficace per un determinato prodotto, tramite l’utilizzo della scienza strumenti specifici. Tra i più grandi studiosi e saggisti di neurologia troviamo Antonio Damasio il quale afferma: “Non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano” rilevando l’importanza dell’emozione all’interno del ragionamento umano, del processo decisionale e di scelta. Allo stesso modo, negli anni ’50, uno dei più noti pubblicitari della storia del secolo scorso, David Ogilvy, scrisse che il più grosso problema nel campo delle ricerche di mercato è che “le persone non pensano a ciò che sentono, non dicono ciò che pensano e soprattutto non fanno ciò che dicono”. A volte non dicono ciò che pensano perché non ne sono pienamente consapevoli, e altre volte perché le regole sociali o la voglia di mostrarsi agli altri come soggetti razionali e non emotivi li spinge a non esprimere ciò che effettivamente guiderebbe il loro comportamento di acquisto e di scelta. Questo spiegherebbe perché molte volte i sondaggi politici sono poco affidabili e gli esiti delle ricerche di mercato non sono compatibili con i comportamenti di acquisto reali.


Il sistema della scelta

Si è scoperto che esistono due percorsi decisionali: uno più lento e razionale che analizza tutte le alternative secondo uno scrupoloso schema d’azione, l’altro più rapido ed emotivo in cui la scelta avviene dopo “bias”, errori, affidandosi ai sentimenti. Solitamente il percorso rapido si applica in contesti di pericolo, tensione o necessità, compreso quel momento in cui siamo al supermercato ed abbiamo poco tempo per decidere quale marca di cereali preferiamo, finendo per scegliere sempre i soliti, perché li conosciamo meglio, o quelli che ci convincono di più in termini visivi e grafici. In questo tipo di scelte attuiamo, quindi, una razionalità limitata, condizionata da alcuni elementi esterni (p.e.: la fretta o la pressione sociale) e dalla nostra sensibilità immediata. Proprio per questa influenzabilità della scelta, esiste una “quota non prevedibile” con cui il marketing deve fare i conti e da cui si origina la “Teoria del Prospetto”, la quale afferma che le scelte economiche sono fortemente influenzate dal “prospetto” e quindi dal modo e dal luogo in cui vengono attuate.


Il caso “Coca Cola”

Uno dei casi più eclatanti per la storia del marketing è avvenuto nel 1985 negli Stati Uniti, quando la famosissima compagnia Coca Cola decise di attuare uno dei più grandi sondaggi popolari della storia mondiale per scoprire se, effettivamente, la gente preferisse il gusto della Coca Cola a quello più dolce dell’arcinemica Pepsi. Al termine di questo sondaggio blind (senza che i partecipanti sapessero quale marchio stessero degustando) il risultato era chiaro: una grandissima parte del campione analizzato preferiva, indubbiamente, il gusto della Pepsi. Con questo verdetto, la storica Coca Cola decise di lanciare sul mercato una nuova bevanda, più dolce e simile alla concorrenza (quindi, teoricamente, più apprezzabile), sostituendola alla buona e vecchia formulazione originale. Il nuovo prodotto venne chiamato New Coke ma, quando si sparse la voce che l’azienda avrebbe ritirato la vecchia Coca Cola, nacquero veri e proprio moti di rivolta. La Coca-Cola Company cominciò a ricevere valanghe di lettere di protesta dei consumatori e migliaia di telefonate al giorno. Alcuni consumatori, colti dal panico, riempirono le proprie cantine con casse della vecchia e amata Coca-Cola e un cliente texano arrivò ad acquistare bottiglie per un valore pari a 1000 dollari. Furono organizzate manifestazioni di protesta, si distribuirono magliette contro il lancio della nuova bibita e si arrivò a minacciare la compagnia di una vera e propria azione di categoria. Anche coloro che non erano assidui bevitori della Coca-Cola erano impressionati dall’idea di veder scomparire un elemento così profondamente ancorato nella tradizione americana. La Coca Cola sbagliò nel non aver tenuto in considerazione gli aspetti intangibili (i prospetti di cui parlavamo prima), ovvero il nome della marca, la sua storia, la confezione, l’immagine e il patrimonio culturale di cui era diventata un simbolo. Per gli americani la valenza simbolica della bibita si era dimostrata più importante del gusto. A dimostrazione del valore delle tecniche di neuromarketing applicate al caso, McClure ha replicato l’esperimento utilizzando sia le tecniche classiche di indagine (self report) che la risonanza magnetica al fine di valutare quale parte del cervello si fosse attivata in condizione di blind (come fu fatto in passato) e in condizione di visione con assaggio. Lo studio mise in forte evidenza come nelle due condizioni si attivano aree diverse nella degustazione di Coca Cola e Pepsi. Nel caso in cui il consumatore è consapevole di assaggiare la Coca Cola si attiva una zona del cervello correlata con le emozioni piacevoli (ippocampo, corteccia prefrontale dorsolaterale) mentre, quando assaggiano in blind, gli stessi soggetti dichiarano di apprezzare più la Pepsi, ma senza registrare le medesime attivazioni cerebrali. Da questo esperimento possiamo capire quanto l’emozione suscitata da un determinato contesto condizioni le nostre scelte, sia nel campo del marketing che in quello della vita quotidiana. Ogni scelta, per quanto razionale, ha un fondamento emotivo e sensoriale che permette al nostro cervello di contestualizzare la situazione e la decisione.


Un unico filo rosso

A questo punto ritorniamo al nostro mito greco di partenza: cosa c’entrano Scilla e Cariddi con il neuromarketing? Beh, il nostro filo rosso è la relazione tra Emozione e Ragione. La difficile impresa di Ulisse e del suo equipaggio si riflette sulle condizioni quotidiane in cui ognuno di noi dover decidere se seguire il sentimento o la razionalità, tema che la nuova disciplina del neuromarketing studia da un ventennio col fine di interpretare e prevenire le scelte dei consumatori del mercato mondiale. La nostra società, fiera sostenitrice del metodo razionale e scientifico, si trova ad ammettere che “l’uomo è un essere emozionale che pensa”, che tutto il processo decisionale logico trae origine da quel contesto e da quegli agenti di interferenza che fioriscono nel giardino del sentimento. Forse è proprio vero che l’uomo, come Ulisse, è costretto a passare la sua vita in un continuo stato di instabilità tra Emozione e Ragione, poiché qualsiasi deviazione decida di fare lo porterebbe a perdere una parte di sé, sia questa la più istintiva o la più logica. Prima di prendere una decisione è bene considerare le prove presentate da entrambe le parti. È importante farlo, non per cambiare i propri pensieri o le proprie passioni, ma semplicemente per vedere perché gli altri la pensano in maniera così diversa. Forse si è troppo logici? Troppo emotivi? Quale è il punto di equilibrio dal quale si può osservare con chiarezza una questione? È uno stato d’animo che il grande romanziere americano F. Scott Fitzgerald ha riassunto in una frase: «Il banco di prova di un’intelligenza superiore è la capacità di contenere due idee opposte allo stesso tempo conservando la propria funzionalità». In altre parole, navigare con successo tra Scilla e Cariddi.


(Sofia Scordo 4AC)

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