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  • Sofia Scordo

Politica a scuola?

Propaganda o esercizio della cittadinanza?


Nel IV secolo a.C. Platone scriveva: “Il prezzo pagato dalle brave persone che non si interessano di politica è di essere governate da gente peggiore di loro”. Per il filosofo greco, dunque, la sfera politica rappresentava quel campo del sapere e dell’agire necessario per l’affermazione di ogni individuo. Ma cosa intendeva effettivamente Platone con “Politica”?


La “Politica” nella pόlis

Πολιτική ( politikḗ) è un termine greco che deriva dalla parola πόλις (pόlis), “città-stato”, e che sottintende τέχνη (téchnē), "arte" o "tecnica". Risalendo al suo significato etimologico, quindi, possiamo parlare di politica in quanto “arte riguardante la città-stato” o, semplicemente, “tecnica di governo”. La pόlis era, infatti, un modello sociale tipicamente greco in cui ogni cittadino prendeva parte alla vita politica della città. Il tutto si basava sul concetto di armonia totale tra universo e individuo, in quanto le leggi dello Stato riflettevano quelle cosmiche. Tramite questa definizione, forse, comprendiamo meglio la ragione per cui gli antichi considerassero tanto fondamentale “l’arte del governare”, concetto lontano anni luce da quella nube indistinta di partiti, leggi e poteri che regna sovrana nella mente di molti di noi, giovani del secondo millennio. Chiediamoci allora: “Perché questa indifferenza? Quali sono le sue origini? Quali ripercussioni ci saranno sul futuro?

Crescendo sentiamo sempre più spesso: “i giovani di oggi saranno gli adulti di domani” direttamente collegata a “chi prenderà in mano le redini dello stato tra 40 anni, quando tutti quelli che sanno qualcosa di politica saranno troppo vecchi per governare?”, ma ci abbiamo mai realmente pensato? Qual è il luogo in cui un giovane dovrebbe apprendere cosa voglia dire “arte del governare”? E cosa realmente gli dovrebbe essere insegnato?


Uno sguardo nella storia

Negli ultimi anni, forse proprio perché ci si è resi conto che si sta deviando dalla retta via, si è cominciato a parlare di politica nelle scuole e discutere su quanto questo possa essere vantaggioso o svantaggioso per il futuro della società. Nell’ultimo secolo, in Italia, abbiamo avuto due eclatanti esempi di come la politica e la scuola si possano fondere assieme, pur non portando al risultato tanto esaltato da Platone: la scuola di Mussolini e le rivolte del ’68. Durante il periodo di dittatura fascista, infatti, l’ambiente scolastico era luogo di propaganda, proselitismo ed imposizione delle leggi dello Stato dittatoriale; i bambini, sin da piccoli, tra i banchi venivano educati al rispetto del Duce e all’esaltazione dei principi del suo governo. Dall’altro canto abbiamo le rivolte del ’68, periodo storico caratterizzato da una forte aria di riformismo, partita dagli studenti universitari e diffusasi principalmente tra i giovani. Queste rivolte, sfondo del processo di affermazione, tra le altre cose, delle brigate rosse e della nascita del 6 politico, si basavano sul concetto di socialismo e comunismo. Il movimento di rivolta riprendeva gli ideali di figure politiche come Che Guevara e Giap, col fine di opporsi allo Stato del tempo, una destra neofascista che ostacolava le classi meno agiate. In questo contesto la scuola è diventata un mezzo politico tramite cui ribellarsi al Potere.


“Niente politica in classe”

Dopo aver analizzato questi due importanti avvenimenti relativamente lontani, possiamo concentrarci su un passato meno distante, precisamente sul fronte legislativo della nostra attualità. Nel Maggio 2011 Fabio Garagnani, deputato del Pdl, ha avanzato una proposta di legge, richiedendo che venisse aggiunto al Testo Unico sulla scuola il divieto, per gli insegnanti, di fare propaganda o ideologia politica, con una pena variabile da 1 a 3 mesi di carcere. Questa proposta è stata fortemente criticata dal segretario generale della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo, che ha difeso il diritto degli insegnati di parlare di politica in quanto “educano, non inculcano”, definendo “delirante” il discorso di Garagnani. Probabilmente, arrivati a questo punto è necessario differenziare due termini fondamentali per il nostro ragionamento: “fare propaganda” e “parlare di politica”. Il “fare propaganda”, l’inculcare pareri personali nelle menti degli studenti non permettendo loro di obiettare, esprimere un’idea contraria o discutere a riguardo, è esattamente ciò che potremmo ricondurre al periodo fascista. Allo stesso modo l’utilizzare la scuola come mezzo di proselitismo politico personale riprende perfettamente il concetto del movimento del ’68. Questi sono gli atti che Garagnani voleva assicurarsi di eliminare con la sua proposta di legge, ma il suo discorso ha portato ad una generalizzazione sociale sul tema “niente politica a scuola”. In questo clima un po’ annebbiato molti insegnanti hanno smesso di informare i propri studenti riguardo ciò che volesse dire “vivere lo Stato”, hanno cominciato a cancellare il termine “partito” e “governo” dalle loro lezioni, hanno deciso, forse inconsciamente, di chiudere gli occhi ai loro alunni sul presente. Tutto questo perché la linea di divisione tra propagandare e parlare di politica è rimasta offuscata da quel categorico “no politica in classe”.


Lόgos: parlare di politica

Ma, allora, cosa vuol dire “parlare di politica”? Mi ha sempre colpito il fatto che, in greco, il termine “parola” si traduca con λόγος (lόgos) il quale, tra la miriade di significati possibili (che di certo non aiutano quando ti ritrovi a tradurlo in versione), presenta anche il significato di “facoltà di riflettere o di pensare, la ragione” e di “rispetto, stima”. Questo vuol dire che parlare di politica è pensare, ragionare, confrontarsi, non certamente tentare di far prevalere la propria idea partitica o cercare seguaci con la propaganda. Parlare è rispettare l’opinione altrui, pur sostenendo la propria (per ragioni fondate); parlare è la più alta manifestazione di società civile e giusta.


“La politica, nella sua accezione più alta”

Nel luglio 2018 il senatore Matteo Salvini ha pubblicato nella sua pagina Twitter un post: “Per fortuna gli insegnanti che fanno politica a scuola […] sono sempre di meno, avanti futuro!”, ed ha subito ricevuto risposta da un consistente numero di docenti, uniti sotto gli ideali di un professore di Pordenone, Enrico Galliano che ha commentato: “La politica che faccio e che farò in classe non è quella delle tifoserie, dello schierarsi da qualche parte e cercare di portare i ragazzi a pensarla come te a tutti i costi. Non è così che funziona la vera politica. La politica che farò è quella nella sua accezione più alta”. Parlare di politica in classe vuol dire discutere dell’attualità, magari collegandosi ad argomenti storici derivati dal programma istituzionale, vuol dire cercare di capire chi detenga il potere, perché e come, col fine di comprendere meglio la nostra società. Parlare di politica vuol dire condividere o meno degli ideali, scontrarsi civilmente, se necessario, per comprendere al meglio il mondo in cui viviamo.

Non possiamo far finta di non vedere, non sentire e non capire, perché presto saremo noi giovani che dovremo riuscire a portare avanti uno Stato, governare e capire ciò che è giusto o meno nel rispetto delle libertà di tutti. Con l’inserimento di educazione civica all’interno delle materie obbligatorie a scuola si sta cercando di porre un trampolino di lancio per le nostre conoscenze e il nostro futuro, ma questa disciplina deve essere sviluppata seriamente. Bisogna insistere affinché il parlare di politica sia un diritto e dovere della scuola in quanto ente responsabile dell’istruzione delle nuove generazioni. Bisogna parlare, ragionare, confrontarsi, con rispetto, stima e correttezza, su di un argomento ancora troppo tabù in molte scuole italiane. Dobbiamo sapere cosa voglia dire Stato, governo, costituzione, leggi, diritti, doveri, dittatura e democrazia o non sapremo distinguere la libertà dall’imposizione.

Come può il “parlare di politica” quindi il “riflettere con rispetto sull’arte del governo” attentare alla libertà di espressione, quando racchiude l’essenza della nostra civiltà?


“In democrazia nessun fatto di vita si sottrae alla politica” (Mahatma Gandhi)


(Sofia Scordo 4AC)

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